Formazione

Il nuovo c’è, si chiama Arci

Tom Benetollo giudica il barnum mediatico di Torino: «Troppo passatismo e retorica. Un Congresso utile all’identità più che alle riforme.

di Walter Mariotti

«Questo partito va riformato alla grande. C?è ancora troppo politicismo, troppa retorica, troppo passatismo sia nell?ispirazione ideale che nell?attività di governo». Nel barnum lingottiano Tom Benetollo, il presidente dell?Arci, è l?unico a denunciare i problemi reali presentando soluzioni concrete. L?unico a parlare dell?orrore della guerra, insistere sulla necessità di un?authority del Terzo settore, spingere per una legge dell?associazionismo sociale, ricordare emarginati e immigrati. A dire ?qualcosa di sinistra? a una sinistra perduta a cercarsi. Ho avuto la stessa impressione. Parole alte. Troppo alte. Solo parole? Non è così. Svecchiare il partito, dar vita ad un partito nuovo, è esattamente il nodo del congresso. In questo senso Torino è una grande promessa, lo sforzo di tenere insieme non un sistema di potere ma la strategia del centrosinistra. Una svolta, che rilancia il dialogo a sinistra e una nuova idea di coalizione. Sarà. Ma sul merito? Si tratterà di trovare accordi, questione per questione; accordi però per la gente e non per la politica. Veltroni l?ha detto. Ma in concreto che significa? Che la politica dovrà dare sbocco alla società civile, all?associazionismo sociale. Che si chiede dove è la sinistra di fronte ai drammi del mondo. Che vuole troncare la demagogia di destra e i referendum leghisti, offuscati dal clamore di quelli sociali. Che occorre un grande schieramento civico, non solo quello formato dai sindacati. Una lettura ottimistica. Ma gli impegni per il Terzo settore dove sono in questo congresso? Il patto col terzo settore va rapidamente implementato e portato al funzionamento quanto prima. Su questo certo c? è ritardo, sia come governo che come diesse. E la sussidiarietà? Qualche accenno c?è stato. Noi poi abbiamo chiesto che la legge per l?assistenza venga fatta subito e che la sussidiarietà – che per noi è solidale – finisca lì dentro, sia prevista una volta per tutte. Per l?Arci ha ancora un senso identificarsi con questa nuova sinistra dall?identità generica? Intendiamoci: l?attività sociale è un bene in sé, un valore autonomo. E noi teniamo alla nostra autonomia, che assieme all?attività rappresenta la nostra identità. Più chiaramente: non ci siamo schiacciati e non ci schiacceremo su nessun partito e su nessun governo, tantomeno su questo partito e su questo governo. Lo abbiamo dimostrato in occasione dell?intervento in Kosovo, sostenendo che c?erano alternative, e sulla querelle relativa alla gestione della Missione Arcobaleno su cui chiedevamo un diverso coinvolgimento delle ong. Il Kosovo. Mi ha colpito che in tre giorni di interventi solo lei abbia parlato di guerra, del senso distruttivo della guerra. L?ho detto. Se non ci sarà un tavolo si innescherà un nuovo ciclo che lasciato a se stesso porterà a nuovi conflitti. Specialmente in Bosnia e dentro la Serbia. Se gli accordi di pace sul Kosovo non saranno applicati rimarrà una frattura storica, il fatto che dopo una guerra per la convivenza ci siano espulsioni. E morti, innumerevoli morti. Questo deve far pensare. L?Arci che si appresta a celebrare la sua Conferenza Nazionale di programma sul tema della cittadinanza attiva è ancora di sinistra? Noi siamo nel centrosinistra per scelta quotidiana, ma siamo autonomi e contrari al collateralismo di sinistra. Per questo vogliamo una carta della trasparenza, che regoli chiaramente i rapporti tra gli enti locali, le cooperative sociali, e i soggetti del terzo settore. Mai più servilismi verso nessuno, mai più inciuci, mai più ?amici degli amici?. Siamo per il merito, la competenza, la professionalità. Come cambierà l?Arci? L?Arci è già cambiato, perché è cambiata la sua mission. Da associazione di cultura e ricreazione a soggetto di solidarietà sociale. Un percorso di emancipazione, basato sulla totale indipendenza economica, che in cinque anni ha raddoppiato i suoi iscritti, gestisce trecento progetti di utilità sociale in Italia, decine in Europa, diciotto nel mondo. Siete l?utopia di cui parla Veltroni, dunque? Noi non siamo un?utopia, siamo una realtà. Un milione duecentomila iscritti gestiti da una struttura nazionale iperleggera, dieci persone in tutto, che valorizza la democrazia interna e non ha altri obiettivi che affrontare sfide basandosi sul massimo della credibilità e della sicurezza. Con questo spirito stiamo preparando il nostro congresso, fissato nel febbraio del 2001. (W. M.)


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